Le odierne conflittualità tra Stati raramente si presentano sotto forma di guerre dichiarate convenzionali: sempre più spesso esse si manifestano come “guerre ibride”, un intreccio di strumenti bellici e non bellici volto a colpire l’avversario su più fronti restando possibilmente sotto la soglia di una risposta militare aperta. La guerra ibrida, in quanto forma di conflitto asimmetrico, rappresenta l’evoluzione delle strategie di potenze e attori non statali che cercano di compensare squilibri di forza sfruttando leve alternative – cyberattacchi, disinformazione, sabotaggi, pressioni economiche, uso di proxy – massimizzando l’ambiguità e la negabilità. Non è un fenomeno del tutto nuovo (già durante la Guerra Fredda si faceva ricorso ad azioni coperte e proxy wars), ma l’innovazione tecnologica e la crescente interconnessione globale ne hanno ampliato enormemente il raggio d’azione e l’efficacia. Oggi, una potenza ostile può colpire le infrastrutture energetiche di un paese tramite hacker informatici, manipolare le opinioni pubbliche avversarie con campagne sui social media, oppure sostenere milizie paramilitari in teatri di crisi, il tutto negando responsabilità diretta. Queste nuove forme di conflitto asimmetrico costituiscono una sfida complessa per le nazioni bersaglio, che faticano a individuare l’autore degli attacchi e a rispondere efficacemente senza rischiare escalation.